Vedute parallele: la Storia e il paesaggio in Grüne Linie
Irene Cecchini dialoga con Giancarlo Barzagli
Grüne Linie è una riscoperta. La ricerca fotografica di Giancarlo Barzagli e la camminata racconto di Wu Ming 2 combinano una trama verbo-visiva dialogica e composita che studia, interagisce e riabilita una piccola valle nell’Appennino Tosco-Romagnolo. Questi luoghi, teatro di scontri durante la Seconda Guerra Mondiale tra esercito tedesco e Resistenza, sono gli ultimi testimoni di un passato da non dimenticare; riesumando e investigando le tracce lasciate dalla storia nel paesaggio, rievocando le testimonianze dei combattenti e di chi ha vissuto quelle montagne, Grüne Linie è una guida alla comprensione e all’avvicinamento al territorio.
L’opera diventa essa stessa manuale al paesaggio e alla Storia. Lontano da ideologie e falsi miti, le fotografie ed il racconto ci mostrano una guerra fatta di luoghi minori e di persone qualunque. L’utilizzo di documenti, fotografie d’epoca e testimonianze non deve infatti trarre in inganno; il libro non si presenta come un documento d’archivio né come una commemorazione al passato. La forza di Grüne Linie è proprio questa: invitare il lettore a conoscere attivamente, a mettersi sulle tracce della sottostoria come del sottobosco.
Per rendere ancora più partecipativo il lettore, Grüne Linie è accompagnata da una mappa che segnala diversi itinerari a piedi per la valle, i quali costeggiano grotte un tempo nascondigli, vecchie case coloniche un tempo occupate dai partigiani, residui bellici con cui adesso giocano i bambini.
Giancarlo Barzagli e Wu Ming 2 tessono un filo fine ma fortissimo fra il passato e il presente con il desiderio non solo di tutelare e conservare questa unione, ma di rinnovarla e riscoprirla, tessendoci intorno ancora numerose storie.
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Irene Cecchini: Due sono i protagonisti di questo itinerario, il paesaggio e la storia. La cartografia dell’opera si estende in una zona densa di eventi che hanno influenzato il vivere quei luoghi e i luoghi stessi. La 36ª Brigata Garibaldi Bianconi abitò quelle zone per mesi, segnando il paesaggio con tracce più o meno evidenti; lo spazio geografico diventa così mappa storica. Gli itinerari però che raccogliete sono anche e soprattutto una mappa attiva, nella quale ogni vivente è in rapporto o contatto costante con tutti gli altri, in cui il luogo può essere attraversato e vissuto in nuove forme.
Mi domando come si è sviluppata l’idea di questo progetto: è stato l’interesse verso una storia che si rischia di perdere che ti ha riportato ai boschi, o sono i boschi che hanno riacceso in te la necessità di rimettersi sulle tracce della storia?
Giancarlo Barzagli: La motivazione che sta alla base di tutto il lavoro è sicuramente quella della salvaguardia di una storia che stava perdendo i suoi testimoni diretti e quindi si sarebbe trovata davanti al rischio di rimanere relegata ai libri di testo. Il fatto curioso è che il percorso che mi ha portato a pormi questa domanda parte e trova risposta sui luoghi dove sono nato e cresciuto in una sorta di cortocircuito che sta influenzando anche le mie nuove ricerche.
Tutto è iniziato diversi anni fa accompagnando Bruno, unico partigiano del mio paese, alle commemorazioni legate all’attività della 36ª Brigata Garibaldi Bianconi di cui aveva fatto parte. Lì ho conosciuto alcuni suoi compagni e negli anni le loro storie mi sono diventate familiari. Da quei primi incontri ad oggi la maggior parte dei partigiani che ho conosciuto ci ha lasciati (uno fra i primi fu proprio Bruno) e per me la necessità di portare avanti la memoria di quelle storie si è fatta sempre più stringente. Iniziai a chiedermi cosa sarebbe successo dopo la scomparsa dell’ultimo testimone diretto e, con le nuove generazioni in mente, se esistesse un modo per restituire la forza di quegli incontri che io avevo avuto la fortuna di fare. Il debito di riconoscenza che avevo sviluppato verso Bruno e i suoi compagni mi ha dato la forza di perseverare in questa ricerca ma per trovare la risposta ho dovuto fare “un passo indietro” e tornare ai miei luoghi. Questo nuovo percorso è partito da una fotografia ritrovata nel mio album familiare (e che ho voluto inserire alla fine del libro): ci sono io da bambino che mi affaccio dall’ingresso di uno dei tanti tunnel disseminati intorno a Razzuolo (il mio paese natale) che erano stati scavati dall’esercito tedesco per la fortificazione della Linea Gotica. Per il semplice fatto di essere nato sulle montagne che erano state il teatro di avvenimenti storici avvenuti più di 70 anni fa ero da sempre stato in contatto con i segni di quel passaggio. Il territorio mi parlava di quelle storie anche se io non ero capace di ascoltarlo. Per questo sono tornato a percorrere i boschi che frequentavo da bambino e che nell’estate del 1944 avevano visto i partigiani della 36ª Brigata vivere spalla a spalla con gli abitanti del luogo alla ricerca dei segni che potevano ancora parlare di quei giorni.
I.C.: Questa osmosi fra paesaggio e storia porta a considerare il paesaggio come luogo della memoria (tanto che la prima legge varata in difesa del paesaggio nel 1922 recita: «per la tutela delle bellezze naturali e di particolare interesse storico»). Questo conduce talvolta ad un rischio di museificazione del luogo e di intoccabilità, scollegando così il luogo dai suoi abitanti e rendendolo luogo altro (penso al Sacrario militare di Asiago o di Redipuglia, per la Prima Guerra, o ai numerosi Cimiteri militari della Seconda Guerra).
L’accumulo di tracce, testimonianze e documenti può portare a considerare il paesaggio un palinsesto; qual è il legame che Grüne Linie vorrebbe instaurare con la storia e con il paesaggio che la custodisce e l’alimenta?
G.B. : Ho ben presente il pericolo di cui parli anche se credo che i luoghi di Grüne Linie per loro natura ne siano meno soggetti. Come dici bene nell’introduzione a questa discussione si tratta di “luoghi minori” dove il legame con la lotta partigiana è solo uno dei possibili. I ruderi ricoperti dalla vegetazione che ho fotografato per il libro in questo caso ci parlano dei partigiani che hanno ospitato durante quell’estate del’44 ma le storie che potrebbero raccontarci sono infinite. È il filo che tendono tra la mia esperienza personale e quegli avvenimenti lontani a dare forza al messaggio rendendolo significativo. Il racconto di Wu Ming 2 (da cui deriva la metafora del filo) rende la “ tessitura” più complessa e ne amplia la capacità comunicativa. Vedo quindi Grüne Linie come una forza rivitalizzante del legame fra abitanti (nel senso più largo del termine) e paesaggio.
I.C.: La raccolta fotografica si divide in due diverse sezioni, intervallate dal racconto di Wu Ming 2 Basta chiederlo ai faggi; la prima riporta immagini a campo lungo sulle montagne, oppure immagini immerse nel folto del bosco, dove gli alberi invadono la scena e il verde è il colore che prevale.
Nella seconda sezione invece ingrandisci direttamente sulle tracce più evidenti della guerra (rifugi, grotte, munizioni).
Mi domando se dietro a questa divisione vi sia un’intenzione educatrice e svelatrice; le fotografie si presentano come dispositivi visivi che, guidati anche dalla scrittura di Wu Ming 2, indirizzano nella parte finale i lettori a compiere un cammino di scoperta del luogo.
Qual è stato il motivo di questa scelta dispositiva e delle stesse fotografie?
G.B.: Grüne Linie è la testimonianza di un viaggio personale che vuole farsi universale. Con Claudia Paladini (la mia compagna) con la quale abbiamo lavorato al libro ci siamo sempre confrontati con questa necessità. Non dovevamo semplicemente raccontare una storia, si trattava di mettere in mano al pubblico uno strumento che lo rendesse capace di decifrare un nuovo linguaggio. Da questa necessità è arrivata la divisione per capitoli, immaginati come uno scavo, dove con lo scendere in profondità emergono segni sempre più evidenti del passaggio della storia. Il primo capitolo con i suoi paesaggi è l’introduzione alle atmosfere e ai luoghi del racconto e un invito a camminare con me in quei boschi. Andando avanti si partecipa alla scoperta delle tracce che emergono dal paesaggio: da quelle più sfuggenti, che potrebbero parlarci di tante altre storie, a quelle intrinsecamente collegate al passaggio della guerra come i reperti bellici. Al termine di questo viaggio si arriva alle immagini d’archivio con i volti dei giovani partigiani e i boschi che si animano di presenze umane. Rimane però una lontananza tra noi e quei volti, dovuta al percorso fatto per raggiungerle e rinforzata dal bianco e nero delle foto, a rimarcare l’assenza che sta alla base di tutto il libro.
I.C.: Sia all’interno del racconto che come didascalia alle fotografie, i toponimi appaiono con un’alta frequenza e sembrano nascondere una forte rilevanza non solo nella conoscenza del luogo, ma anche nel suo riconoscimento come entità vitale; potremmo quasi dire che una mappa dei toponimi è già una lettura, spesso ricca di indicazioni, del paesaggio.
Ti ritrovi in questo? In che modo i nomi dei luoghi possono creare una memoria e fortificare l’identità di un determinato territorio?
G.B.: Credo che i toponimi siano uno strumento fondamentale in un’operazione di salvaguardia della memoria come questa. L’utilizzo dei nomi delle case coloniche nelle didascalie, ancorate a delle coordinate gps, è un tentativo di fermare l’oblio a cui l’abbandono sta relegando le pietre di cui sono fatte e di conseguenza le storie a cui sono legate. In un territorio abbandonato come quello della Valle del Rovigo (ma il discorso può essere allargato a tutte le aree soggette a spopolamento) i toponimi sono una fotografia: una descrizione del paesaggio e del rapporto che gli abitanti avevano instaurato con il luogo, un elemento statico in un territorio in continua evoluzione. Questo è evidenziato molto bene nel racconto di Wu Ming 2 dove l’analisi dei nomi è il primo passaggio che fa il protagonista nella comprensione dei luoghi che sta attraversando. Per questo trovo importanti i lavori come quello che Andrea Barzagli (mio fratello) sta facendo con la mappatura dei toponimi delle nostre montagne. Grazie ad interviste ai vecchi abitanti è riuscito a ricostruire la fitta rete di nomi che permetteva loro di orientarsi nel territorio, raccogliendo anche le storie legate a questi toponimi e alla loro nascita. Storie che ci raccontano cosa significava vivere in quei luoghi e conservano informazioni fondamentali per la loro gestione. In questo trovo che per loro natura i toponimi siano un tassello fondamentale nella fortificazione dell’identità di un determinato territorio perché ci parlano del rapporto che nel tempo abbiamo costruito con esso.
I.C.: Il libro è una camminata narrativa attraverso medium diversi che collaborano alla rappresentazione di un luogo (la Linea Gotica, ribattezzata in seguito dai tedeschi Grüne Linie -Linea Verde-) e insieme alla sua riscoperta. In questa originale forma di reportage, la fotografia appare come mezzo-guida principale per la riattivazione dello sguardo e la comprensione del luogo. Le immagini qui non si accontentano di essere guardate, ma di essere lette e decifrate, come il territorio che rappresentano.
Come pensi che la fotografia possa mettere in atto una riabilitazione-riabitazione del luogo?
G.B.: Lo sguardo è il senso a cui ci affidiamo di più nella nostra lettura del mondo, oggi più che mai. Per questo credo che le fotografie abbiano la forza di catapultarci facilmente in un luogo o in delle atmosfere. Non credo però che da sole abbiano la capacità di riabilitare i luoghi che mostrano. Per fare questo credo che ci sia bisogno di una complessità maggiore e lo sforzo più grande come fotografo è stato proprio aggiungere questo di più. Gli ingredienti sono stati il racconto di Wu Ming 2, la mappa e i suoi itinerari ma anche la campagna di crowdfunding con la quale abbiamo finanziato la stampa del libro che è riuscita ad attivare prima di tutto gli abitanti (e gli amanti) di quelle montagne e delle zone limitrofe. Credo quindi che se c’è una forza riabilitatrice-riabitatrice in Grüne Linie questa non dipenda soltanto dalle fotografie ma dalla complessità che si porta dietro come progetto.
I.C.: La tradizione del foto-testo si intreccia spesso ad un desiderio di ritrarre i luoghi, di conoscerli e di interagirvi in modo inedito; penso a Feste religiose in Sicilia di Sciascia e il fotografo Ferdinando Scianna, o allo sposalizio nella sterminata pianura di Gianni Celati e Luigi Ghirri, mentre fra i più recenti si può citare Condominio Oltremare di Giorgio Falco e Sabrina Ragucci e Absolutely Nothing di Giorgio Vasta e Ramak Fazel. In Grüne Line il raddoppiamento diegetico dato dal racconto e dalle foto avvolge ed immerge completamente il lettore nei luoghi protagonisti e lo spinge a interrogarsi sulla loro storia.
Come pensi si relazionino fra loro prosa e fotografia nella conoscenza dei luoghi? La loro combinazione può essere uno strumento d’indagine funzionale alla riformulazione di un sentimento ecologico contemporaneo?
G.B.: Il rapporto che ci lega al nostro territorio è un sistema complesso fatto di elementi più o meno visibili. Le prime volte che sono tornato a camminare in quei boschi sono stato colpito più da quello che “sentivo” che da quello che vedevo. Riconoscevo gli odori come qualcosa di familiare e i miei piedi sapevano dove appoggiarsi. In qualche modo la tranquillità che provavo era dovuta al fatto di trovarmi in qualcosa di simile al mio habitat naturale: i boschi dove ero nato e cresciuto. Restituire la profondità di questo tipo di legami non credo sia semplice e per questo l’interazione fra diversi linguaggi diventa fondamentale. Con Wu Ming 2 siamo stati d’accordo fin dall’inizio: dato il punto di partenza comune ognuno doveva essere libero di scegliere la strada da percorrere con il proprio lavoro. Alla fine mi sembra che i due percorsi si siano intrecciati e che in un gioco di specchi riescano in qualche modo a rimandare ad una complessità maggiore. Questa è sicuramente la forza degli esempi che hai citato, quella di mettere in risonanza diversi linguaggi riuscendo a restituire qualcosa di più di una semplice somma. Le indagini costruite in questo modo possono sicuramente contribuire alla costruzione di un senso in cui molti si possono riconoscere.
I.C.: Oltre al lavoro fotografico e alla scrittura del racconto, Grüne Linie culmina la sua ricerca aggiungendo una mappa con diversi itinerari -ben descritti e segnalati-, protagonisti delle storie raccontate. La scelta di aggiungere l’elemento mappa, scisso dal corpo del libro, ha come effetto primo la tangibilità del luogo e l’attestazione della sua esistenza (toponimi, sentieri, simboli che corrispondono ad elementi riscontrabili lungo il percorso).
Inoltre, insieme a Wu Ming 2, hai organizzato delle camminate e continuerai a farlo, così da rendere il libro “infinito”: il cammino dei successivi viandanti continuerà a scrivere storie nella vecchia “Repubblica del Carzolano”, chiamata così dalla 36ª Brigata partigiana.
Perché continuare con gli itinerari, perché donare una mappa dei luoghi?
G.B.: La mappa è stata un elemento fondamentale del progetto fin dall’inizio. Le mie fotografie e il racconto di Wu Ming 2 sono soltanto la testimonianza del nostro dialogo con quel territorio. Se la mettiamo nella prospettiva della memoria della Lotta di Liberazione dal Nazi-Fascismo sono sicuramente poca cosa in confronto alle varie raccolte di testimonianze di chi quella storia l’ha vissuta in prima persona, siano esse scritte o per immagini. La forza di Grüne Linie sta proprio nell’invito (di cui la mappa è l’espressione più concreta) a percorrere fisicamente quei luoghi e poter instaurare personalmente un dialogo con il territorio. È in questo continuo dialogo fatto di passi che vedo l’antidoto a quell’assenza da cui tutto il progetto è partito. Le generazioni future avranno il loro “testimone diretto” da interrogare. Le storie di chi cammina con noi e di chi lo fa da solo seguendo gli itinerari della mappa si intrecciano a quelle dei partigiani e degli abitanti di quelle montagne e in questo modo le mantengono vive. In questo sta la forza riabilitatrice di tutto il progetto.
Per citare questo articolo:
Giancarlo Barzagli, Irene Cecchini, “Vedute parallele: la Storia e il paesaggio in Grüne Linie. Irene Cecchini dialoga con Giancarlo Barzagli”, Literature.green, marzo 2020, URL: https://www.literature.green/vedute-parallele-la-storia-e-il-paesaggio-in-grune-linie pagina consultata il [data]